Storie di soldati
Vistallo Zignoni da San Giovanni Bianco: chi era costui?
di Rinaldo Monella, pubblicata il 21/11/2020 - versione PDF
Facile la domanda posta nel titolo, ma molto più complessa e articolata la risposta che ci accingiamo a dare qui di seguito.
Il suo vero nome era Vistallus Zencha de Zignonibus, chiamato anche "Christallo", ma nei testi che abbiamo trovato è indicato col nome modernizzato di Vistallo Zignoni.
Nato a San Giovanni Bianco intorno al 1465, apparteneva ad una delle famiglie più importanti e ricche del circondario.
Gli Zignoni, giunti su quel territorio verso la fine del '300, si insediarono nella località "Roncaglia Fuori", più tardi denominata "Contrata de Zignonibus".
Vistallo, primo di tre figli maschi, era nato e risiedeva in località "Briolo", dove un ramo della famiglia si era trasferito.
La famiglia, da tempo, aveva intrapreso un'attività molto redditizia, lavorando il ferro in alcune fucine che aveva costruito lungo la sponda destra del fiume Brembo. Mediante un ingegnoso sistema di trasporto dell'acqua, venivano fatti funzionare dei magli che provvedevano ad una più facile lavorazione di verghe appositamente create soprattutto per ricavarne chiodi e che venivano vendute e commercializzate fino a Venezia.
Le ruote dei magli delle fucine Zignoni, visibili presso il ponte, in una stampa del '500.
Il padre Giovanni possedeva inoltre terreni e case propri ed aveva anche alcuni appezzamenti in enfiteusi (1) dal Consiglio della Pietà di Bergamo, un ente caritatevole fondato dal condottiere Bartolomeo Colleoni nel 1475 ed a tutt'oggi ancora operante.
Cresciuto in un ambiente benestante, Vistallo fu poco incline a rafforzare e migliorare l'attività di famiglia aiutando il padre, preferendo frequentare compagnie di giovani perditempo e dediti solo ai divertimenti di ogni genere.
Molto spesso si recava a Bergamo e, attorno a lui, si andò formando una compagnia di sfaccendati che si divertivano a fare spacconate.
Già la combriccola era malvista dalla gente in città, finchè non avvenne un fatto che cambiò per sempre la vita dell'esuberante brembano. Un giorno, infatti, venne trovato il corpo senza vita di un giovane che, nel petto, aveva ancora infilato un pugnale poi risultato appartenere proprio a Vistallo.
Immediata fu la reazione della comunità cittadina che emise un provvedimento di arresto, ma il nostro giovanotto (che non risulta abbia mai cercato di negare la sua responsabilità nell'accaduto), pensò bene di darsi alla fuga e, da quel momento, visse da latitante.
Quando poi, da Venezia, giunse il "bando di cattura", fece perdere le proprie tracce, anche perchè il provvedimento era stato esteso dalla provincia di Bergamo anche a quella di Brescia (e qui sotto il lettore ne capirà il perchè).
Egli, infatti, rimase nascosto nella sua valle e nei circondari adiacenti, giungendo fino a Brescia. Si sposò ed ebbe tre figli dalla moglie Domenghina (che alla fine gliene diede 7 e forse 8), ma trovò anche il tempo di farsi una concubina a Brescia, una certa Caterina, dalla quale ebbe un altro figlio.
Non possiamo escludere che abbia finalmente dato un aiuto anche al padre, il quale aveva bisogno di lui per mandare avanti l'attività e le incombenze sui beni posseduti.
Furono di certo anni difficili, sotto ogni aspetto, ma probabilmente il suo carattere venne temprato facendolo maturare. Forse anche per questo suo nuovo modo di sentire la vita, meditò di mettere le proprie capacità, la prestanza, il coraggio e l'astuzia al servizio di qualche esercito, posto che, all'epoca, ogni Stato, anche il più piccolo, ricorreva di continuo all'arruolamento di mercenari per i più svariati motivi.
Forse avrà anche pensato che questa nuova vita gli avrebbe permesso di riscattarsi in qualche modo agli occhi del mondo, diventando una persona per bene e rispettata dagli altri.
Dove andare?
Milano era troppo fuori mano e nettamente a lui sconosciuta, mentre Venezia era da escludersi proprio perchè aveva emesso il bando di cattura nei suoi confronti.
La sua scelta cadde sul marchesato di Mantova, all'epoca retto da Francesco II Gonzaga.
Francesco II Gonzaga, signore di Mantova, che avviò alla carriera militare il giovane Vistallo Zignoni.
Balestrieri medievali.
Detto, fatto: fu arruolato come balestriere e, da subito, dimostrò ottime capacità di soldato, al punto che venne presto messo a capo del drappello di balestrieri a cavallo del marchesato.
Le date di tutti questi avvenimenti non sono note ma è probabile che il suo arrivo a Mantova sia avvenuto dopo il 1490.
Agli inizi di settembre del 1494, il re di Francia Carlo VIII di Valois scese con un esercito in Italia col pretesto di ristabilire l'autorità francese sul regno di Napoli, ma sicuramente con l'intenzione di imporre la propria egemonia sull'intera penisola.
Antico incunabolo celebrativo di Carlo VIII di Valois.
Ritratto "ufficiale" di Carlo VIII re di Francia, conservato al Museo de Conde, Chantilly.
All'inizio, ben accolto in Piemonte dai Savoia, discese verso sud tra l'inerzia generalizzata degli Stati italiani.
Quando però apparve chiaro quali erano i veri intendimenti della Francia (battaglie, razzie ed assoggettamenti di ogni tipo) si cominciò a temere il peggio.
Sopra: quadro celebrativo dell'entrata di Carlo VIII a Firenze.
Sotto: stampa d'epoca riferita all'ingresso dei francesi a Napoli.
Il 31 marzo 1495, a Venezia, si costituì una lega antifrancese cui aderirono la Repubblica Serenissima, Ferdinando II d'Aragona re di Napoli, Massimiliano I d'Asburgo imperatore del Sacro Romano Impero, il ducato di Milano e lo Stato Pontificio.
Situazione politica del centro-nord dell'Italia nel 1494.
In tale circostanza venne nominato comandante dell'esercito alleato Francesco II Gonzaga, contro il parere della sola Venezia che non si fidava di lui perchè, con molta probabilità, era trapelata la notizia che Carlo VIII aveva tentato di farselo alleato promettendogli denaro e onori ma, soprattutto, la restituzione di alcune terre mantovane sottrattegli dalla Serenissima.
Comunque sia il Gonzaga ebbe il compito di sbarrare il passo alle truppe francesi che stavano risalendo gli Appennini per ritornare in Francia, carichi di gloria e di bottini.
Naturalmente Francesco II portò con sè la sua guarnigione di soldati, ivi compresi i balestrieri al comando del nostro Vistallo.
Alla fine di giugno l'esercito della lega era accampato alla badia della Ghiaruola, una località vicina all'abitato di Fornovo posto all'imbocco della Val di Taro.
Dopo l'1 luglio si ebbero i primi scontri con le avanguardie dei francesi, guidate da Giangiacomo Trivulzio, e che videro la vittoria degli stradiotti, soldati mercenari della cavalleria leggera veneziana e di provevienza balcanica.
Ma il vero scontro avvenne il 6 luglio, universalmente ricordato come il giorno della "battaglia di Fornovo sul Taro".
Il luogo della battaglia di Fornovo in un quadro conservato ai Musei Vaticani.
In proposito è doveroso notare che il nome di Vistallo Zignoni compare tra quelli dei comandanti degli opposti schieramenti nell'ordine di battaglia.
Schieramenti degli opposti eserciti alla battaglia di Fornovo sul Taro: si noti il nome di Vistallo Zignoni tra i comandanti dell'esercito della lega (marchesato di Mantova).
Lo svolgimento della battaglia (che di per sè durò pochissime ore, anche se con un notevole numero di caduti e feriti) venne egregiamente narrato dallo storico Francesco Guicciardini nella sua "Storia d'Italia", ma a noi interessa rimarcare, da una parte, che il Gonzaga dimostrò grandissimo coraggio e valore di soldato (tant'è che, poi, la Serenissima si ricredette e lo nominò generalissimo delle proprie truppe) e, dall'altra, che un passo del Guicciardini ci riporta a quello che sarà il seguito della nostra storia.
Ritratto di Francesco Guicciardini e frontespizio d'epoca della sua "Storia d'Italia".
Si legge infatti che fra gli ordini impartiti da Francesco Gonzaga vi fu anche quello che "...un'altra parte della cavalleria leggiera (tra cui i balestrieri - n.d.a.) percotesse negli inimici per fianco, e che il resto degli stradiotti, passando per il fiume di Fornovo, assaltasse i carriaggi de' franzesi...i quali erano restati senza guardia...".
Gli stradiotti (in basso a sinistra) alla battaglia di Fornovo.
La battaglia di Fornovo in un dipinto di Jacopo Tintoretto: in alto a sinistra il comandante generale dell'esercito della Lega antifrancese Francesco II Gonzaga, con i suoi arceri e balestrieri.
Fu così che Vistallo, con i suoi soldati, si imbattè in un convoglio di 55 muli carichi di bottino proveniente dalle razzie nel meridione italiano.
L'impresa fu molto facile perchè, da un lato, i muli erano già carichi essendo i francesi stati attaccati mentre erano in marcia e, dall'altro, in quanto a capo del convoglio c'era un consigliere del re, certo Gabriel de la Boudinière, che aveva 66 anni d'età.
Vistallo Zignoni tiene bloccato Gabriel de la Boudinière mentre i soldati aprono le casse dei bottini di guerra.
Portati i muli al sicuro, iniziò la spartizione e in tale frangente a Vistallo venne per le mani un cofanetto.
Apertolo, rimase sicuramente sbalordito nel vedere che conteneva delle reliquie della passione di Cristo, tra cui una grossa parte della corona di spine, un pezzo del legno della croce, il ferro di una lancia, pezzi della tunica e del sudario.
Molto probabilmente si rese subito conto del grandissimo valore del cofanetto, valore non solo venale ma soprattuto religioso per la simbologia cui si rifaceva, e non possiamo escludere che la sua mente attenta e scaltra lo vide come "moneta di scambio" che avrebbe potuto fargli ottenere il perdono delle sue malefatte e l'annullamento del bando di cattura, proiettandolo verso un avvenire di tranquillità e serenità.
Nell'arco di pochi giorni raggiunse Bergamo in gran segreto e si incontrò con un amico fidato, il conte Ursino de Rotta, per chiedergli consiglio.
Questi, constatato il contenuto del cofanetto, non solo fu concorde nel suo utilizzo ma si offrì di accompagnare personalmente l'amico a Venezia dove, forte delle sue conoscenze in alto loco, riuscì ad ottenere un'udienza direttamente dal doge Agostino Barbarigo e dal Senato Veneto.
Il doge Agostino Barbarigo.
L'udienza ebbe luogo il 16 agosto 1495 ed il doge, già persona molto sensibile al culto ed alla venerazione delle reliquie, alla vista degli oggetti non esitò un istante ad esaudire le richieste del balestriere bergamasco.
Gli concesse infatti il salvacondotto per poter rientrare al proprio paese, un premio di 50 ducati ed una pensione vitalizia di 10 fiorini per se', per il padre e per ciascuno dei suoi due fratelli, una cospicua provvigione per avviare il figlio primogenito alla carriera ecclesiastica nonchè l'esenzione dal pagamento di tutti i tributi sui terreni da lui posseduti a San Giovanni Bianco.
Il bando per l'omicidio, comunque, non gli venne levato ma "sospeso" per un periodo di cento anni.
Ma la cosa che più ci riguarda è che ricevette una "spina" della corona di Cristo da donare alla parrocchia del suo paese natio.
La "sacra spina".
E così, sicuramente soddisfatto e speranzoso, Vistallo se ne tornò nella sua Valle Brembana e consegnò al proprio parroco la preziosa reliquia.
Però le cose non andarono come lui avrebbe voluto.
I suoi compaesani lo accolsero con indifferenza e, soprattuto, con ostilità, sicuramente a motivo del suo passato burrascoso. La spina fu messa in qualche recondito cassetto e dimenticata per diversi anni.
Anche gli amministratori comunali iniziarono contro di lui una vera e propria campagna vessatoria, pretendendo pagamenti, tasse e balzelli che in buona parte non erano dovuti.
Fu l'inizio di tutta una serie di battaglie di ben altra natura rispetto a quelle militari cui era abituato e che invece lo vide soccombere soprattutto moralmente.
Nel 1509 una parte del territorio bergamasco venne occupata, seppur per breve tempo, dai francesi, ed alcuni suoi concittadini lo denunciarono, ben sapendo che lo avrebbero catturato volentieri per fargli pagare il grave affronto del furto delle reliquie.
Vistallo fu di nuovo costretto a fuggire a Venezia e tutti i suoi averi vennero confiscati. Dopo i francesi arrivarono gli spagnoli e poi i tedeschi e solo nel 1517 potè ritornare a casa.
Puntualmente, la comunità si accanì ancora contro di lui e venne nuovamente sottoposto a procedimenti di natura fiscale.
Il vescovo di Bergamo tentò di intercedere per lui asserendo che le tasse richiestegli dai deputati dell'estimo non erano dovute, ma non ottenne nulla e per Vistallo, seppur per breve tempo, si aprirono le porte delle prigioni di Venezia.
E la spina?
Dopo 40 anni di oblio, finalmente la reliquia venne descritta per la prima volta durante la visita pastorale del vescovo Pietro Lippomano del 4 settembre 1536.
Nell'elenco degli arredi sacri della chiesa parrocchiale di San Giovanni Bianco, viene infatti citato "un bellissimo reliquiario ricoperto di damasco, contenente una spina della corona di Nostro Signore".
Lo stesso San Carlo Borromeo, durante una visita apostolica del 1575, avrebbe poi confermato la presenza della spina.
L'altare della sacra spina nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Bianco e, a destra, particolare dell'ostensorio contenente la reliquia.
Per Vistallo, comunque, non cambiò nulla e giunse fino alla morte, avvenuta intorno al 1538, senza aver avuto alcuna riabilitazione morale, sempre oppresso da procedure amministrative che furono concluse poi definitivamente dal genero.
Ma lui non c'era più e, col passare dei secoli, mentre da una parte cresceva il culto della reliquia, oggetto della venerazione popolare, dall'altra andava scemando il ricordo di questo controverso personaggio che, però, era stato autore ed attore di un grande gesto simbolico molto positivo per la sua gente.
Di questa dimenticanza cominciarono a prendere coscienza alcune famiglie del posto nella seconda metà dell'800 e così, nel 1895, in occasione delle celebrazioni del 400^ anniversario dell'accoglimento della "sacra spina", l'Amministrazione comunale di San Giovanni Bianco fece realizzare una pregevole statua bronzea, opera dello scultore Giuseppe Broggi, che venne installata nella piazza centrale, da allora denominata Piazza Zignoni.
La statua bronzea di Vistallo Zignoni nell'omonima piazza in San Giovanni Bianco.
Cartoline ricordo della Piazza Zignoni e della Sacra Spina.
Vistallo vi è rappresentato come un guerriero aitante, dall'aspetto fiero ma sereno, che tiene in mano l'ostensorio contenente la spina, orgoglioso del gesto che sta per fare, per se' stesso ma anche per la sua comunità.
Saranno stati questi i suoi pensieri? (2)
Dopo aver letto l'ultima parte del testo l'immagine che proponiamo in chiusura si commenta da sè.
(1) enfiteusi: si tratta di un diritto reale su fondo di proprietà altrui ed in base al quale il conduttore (enfiteuta) gode del possesso del terreno con l'obbligo di migliorarlo e pagando al proprietario un canone annuo in denaro o in prodotti del terreno medesimo. L'enfiteusi, dopo venti anni, si può trasformare in proprietà dietro idoneo pagamento;
(2) per approfondimenti sulla persona di Vistallo Zignoni vedansi anche:
- Quaderni Brembani nn. 1, 13, 14 e 17, editi a cura del Centro Storico Culturale Valle Brembana
- Bottani Tarcisio e Taufer Wanda in: Storie del Brembo; Ferrari Ed., 1998
Appendice
L'odissea delle reliquie
Ma quel cofanetto delle reliquie, da dove proveniva?
Altra bella domanda a cui si può rispondere solo "con le pinze" perchè, più si va indietro nel tempo e più la componente storica sfuma per far posto a quella leggendaria.
Sembra comunque che, inizialmente la corona di spine fosse custodita a Gerusalemme e, verso l'XI secolo, portata a Costantinopoli.
Nel 1237 il re di Francia Luigi IX la acquistò da Baldovino II di Courtenay, imperatore latino di Costantinopoli (e suo zio), che era venuto in Francia a cercare finanziamenti per far fronte alle aggressioni dei bizantini.
Da sinistra: Luigi IX, re di Francia, e lo zio Baldovino II di Courtenay, imperatore latino di Costantinopoli, protagonisti dell'arrivo in Europa delle reliquie della passione di Cristo.
Mentre era ospite del nipote, l'imperatore venne a sapere che i suoi ministri erano determinati a vendere "la corona di spine della passione" per avere liquidità e così Baldovino implorò Luigi affinchè l'acquistasse lui, impedendo che finisse in mani indegne.
A Luigi, uomo pio e molto devoto, non parve vera una simile opportunità ed accettò immediatamente.
Furono così inviati a Costantinopoli due frati domenicani, uno dei quali era il priore dell'Ordine dei Predicatori di Costantinopoli e quindi in grado di meglio verificare l'autenticità della reliquia oggetto di vendita.
Giunti a destinazione, i due monaci constatarono però che i ministri dell'imperatore, pressati dal bisogno di denaro, avevano già dato in pegno la corona ad alcuni mercanti di Venezia, sicchè gli infaticabili frati furono costretti a salpare nuovamente ed a portarsi sulla città lagunare, dove avviarono lunghe e complesse trattative alla fine delle quali, anche per il timore dei veneziani di possibili ritorsioni da parte della potente Francia, riuscirono a riscattare la reliquia.
Munitisi poi di un salvacondotto firmato dall'imperatore Federico II di Svevia, massima autorità giuridica cristiana dell'epoca, rientrarono in Francia via terra, avendo l'accortezza di mandare avanti dei messaggeri che annunziassero la bella notizia.
Il re ed il suo seguito si precipitarono incontro al piccolo drappello che scortava i frati, incontro che avvenne nella cittadina di Villeneuve-l'Archevêque, in Bordogna. Il giorno seguente la preziosa cassa venne spedita a Parigi via fiume, dapprima sulla Yonne e poi sulla Senna.
Luigi IX riceve la corona di spine dai frati domenicani a Villeneuve-l'Archevêque.
Luigi IX porta la reliquia della corona in città (si noti l'aureola attorno alla sua testa, indicativa del fatto che il re venne poi canonizzato nel 1297 da papa Bonifacio VIII col nome di "San Luigi dei Francesi".
Fu lo stesso re Luigi che, a piedi nudi, portò di persona la reliquia fino alla cattedrale di Notre Dame, dove rimase per breve tempo in mostra al popolo francese, venendo poi traslata nella cappella di Saint-Nicholas all'interno della residenza reale.
Il sovrano, conscio della grande importanza della corona di spine per il modo cattolico, fece realizzare, sull'Ile de la Cité, una nuova cappella palatina, caratterizzata dalla presenza di numerose vetrate multicolori.
Chiamata la "Sainte Chapelle", divenne il luogo di custodia della corona di spine, cui si aggiunsero più tardi altre reliqie, sempre provenienti da Costantinopoli e sempre vendute dallo zio Baldovino, costantemente bisognoso di denaro: parte della vera croce, la sacra spugna, il ferro della lancia sacra e porzioni della tunica e del sudario di Cristo.
La Sainte Chapelle in una stampa settecentesca.
Il re Carlo VIII prelevò proprio dalla Sainte Chapelle il cofanetto delle reliquie, nella convinzione che le stesse lo avrebbero protetto durante l'intera spedizione in Italia del 1494-1495.
L'altare delle reliquie nella Sainte Chapelle ed una delle formelle in vetro a ricordo di re Luigi IX.