Storie di soldati

I Bergamaschi alla battaglia di Lepanto

di Rinaldo Monella, pubblicata il 30/01/2021 - versione PDF

1961
"Oggi, ragazzi, vi parlerò della battaglia di Lepanto"(1)
Più o meno furono queste le parole che ci rivolse il nostro insegnante di Italiano, Latino, Storia e Geografia (come era all'epoca), un ometto piccolo e gracile, ma che si infiammava e cresceva di statura davanti ai nostri occhi quando si infervorava nel raccontare episodi della Storia passata.
E noi ragazzi, specialmente quell'antipatico ed odioso Del Brocco, mio compagno di banco, smettevamo di tirarci i bussolotti di carta per ascoltare quelle storie che parlavano di epoche e di uomini di cui sembrava essersi persa ogni traccia.

2021
Sessant'anni dopo mi ritrovo davanti agli occhi ed alla mente la parola "Lepanto".
Qualche mese fa, infatti, nel corso delle infinite ricerche sui combattenti bergamaschi condotte presso la Biblioteca Civica Angelo Mai di Città Alta, mi sono imbattuto in alcuni testi dove quella famosa battaglia veniva ricordata.
Non solo, ma con piacevolissima sorpresa ho scoperto che diversi bergamaschi vi presero parte.

Bene, ora è venuto il momento di ricordarli anche in questa sede.

Dalla fine del XV secolo la principale potenza europea era la Spagna.
La sua sfera di influenza era molto estesa e di fatto teneva sotto controllo, quale ultimo baluardo del Sacro Romano Impero, anche la maggior parte dell'Europa occidentale compresi i Paesi Bassi (conquistati con una guerra), l'Austria e buona parte della penisola italiana.



In verde sono indicate le aree di influenza della Spagna in Europa, alla metà del '500.

In tal modo la Spagna si fece molti nemici, tra cui la Francia, la Santa Sede e la Serenissima Repubblica di Venezia, che si allearono tra di loro nella "Sacra Lega di Cognac".
Nel 1527, però, l'esercito della Lega fu sonoramente sconfitto da Carlo V d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, principe dei Paesi Bassi come duca di Borgogna dal 1506, re di Spagna dal 1516 e arciduca d'Austria dal 1519.



Carlo V d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, re di Spagna e arciduca d'Austria.

In quell'occasione, anche per far vedere e pesare al papa quale fosse la sua potenza, si narra che permise ad un suo reparto di lanzichenecchi (2), guidato dal condottiero Georg von Frundsberg di provenienza germanica, di mettere Roma "sotto sacco".

      

I Lanzichenecchi con, a destra, il loro comandante Georg von Frundsberg.

Due dipinti riferiti al "sacco di Roma", dentro e fuori le mura.

Tutte queste lotte interne europee furono una vera e propria benedizione per i turchi che, nel contempo, stavano consolidando il loro potere in Medio Oriente, giungendo a controllare i territori dall'Iran all'Egitto.



Estensione dell'impero turco-ottomano intorno al 1570.

Solimano I, detto il Magnifico, fece addirittura marciare le sue truppe nei Balcani conquistando Belgrado (1521), infliggendo una pesante sconfitta agli ungheresi a Mohács (1526) e giungendo fino alle porte di Vienna (1529), che però non riuscì a conquistare.



Solimano I, il "Magnifico".



Episodio della battaglia di Mohács.

I turchi, inoltre, occuparono Rodi e cacciarono da Creta i Cavalieri di San Giovanni, costringendoli a rifugiarsi a Malta.
A questo punto la "Mezzaluna" divenne una vera e propria minaccia per l'Europa occidentale.

Carlo V, nel 1556, abdicò sia dal Regno di Spagna che dal sacro Romano Impero, lasciandoli rispettivamante al figlio Filippo II ed al fratello Ferdinando I ... tanto perchè restasse ancora tutto in famiglia.

      

Filippo II e Ferdinando I, dal 1556 rispettivamente re di Spagna ed imperatore del Sacro Romano Impero.

Filippo si rivelò subito molto ambizioso e la sua volontà di riunire tutta l'Europa sotto il suo governo lo rese inviso a molti stati, che iniziarono a tramare contro di lui, Francia in primo luogo, spingendo i turchi sia dall'interno, provocando la ribellione dei moriscos (3), che dall'esterno, finanziando gli Stati pirateschi della costa barbarica del Nord Africa.
Nel 1568 Filippo inviò il fratellastro don Giovanni d'Austria a reprimere la sollevazione dei moriscos, portando l'attenzione della Spagna sull'impero turco.
Di fatto, la Turchia era pronta alla guerra anche perchè il loro sovrano Selim II, figlio di Solimano, aveva molti consiglieri combattivi e smaniosi di ampliare la sovranità turca "su tutte le rive del grande lago" ( come loro chiamavano sprezzantemente il Mediterraneo).



Selim II, figlio di Solimano e sultano dell'impero ottomano.



Mappa dell'ubicazione delle fortificazioni veneziane e dei territori (in rosso) conquistati dai turchi.

Formalmente i turchi erano alleati con Venezia, ma Selim ambiva ad impadronirsi di Cipro, che da decenni apparteneva alla Serenissima.
Nell'aprile del 1570, dopo aver udito la notizia, poi rivelatasi falsa, che un enorme incendio aveva distrutto gran parte di Venezia e quasi tutta la sua flotta, pensò bene di inviarvi un suo rappresentante per esigere la cessione di Cipro alla Turchia.
A Venezia venne subito compresa la furbesca minaccia e il Gran Consiglio si appellò al resto dell'Europa che, però, fece orecchie da mercante.
Perchè?
Perchè gli stati monarchici non potevano di certo amare una "repubblica", perchè lo strapotere mercantile di Venezia dava fastidio alle compagnie di tutta Europa con la sua onnipresenza navale e, comunque, perchè c'era una buona dose di invidia nei confronti di questa città così sfarzosa, ricca d'arte e sfavillante di mondanità.
Solo papa Pio V si fece avanti, anche perchè non poteva permettere che una potenza mussulmana avanzasse pretese nei confronti di una cristiana.



Il papa Pio V, fautore della "Lega Santa" contro i turchi.

Così il pontefice convinse il "cattolico" Filippo a fornire non solo le flotte che aveva nel Mediterraneo, ma anche i soldati per la marina veneziana.
In seguito il papa convocò anche un congresso per organizzare una Lega Santa di mutua difesa e che, dopo mesi di discussioni, trovò finalmente un accordo unitario nel maggio del 1571.
A quel punto Venezia chiese a tutte le città di terraferma -sue sottoposte- un contributo in denaro che, per Bergamo, ammontò a 24.000 ducati.

Nel frattempo i turchi iniziarono ad attaccare Cipro e Venezia nuovamente chiese aiuto a Bergamo che rispose offrendo ulteriori 10.000 ducati per armare una galea (4) , alla quale chiese venisse dato il nome di Sant'Alessandro, patrono di Bergamo.
In aggiunta furono anche inviati 224 galeotti, già richiesti dal doge Alvise Mocenigo, mentre il conte Francesco Martinengo offrì 150 cavalleggeri e 1.000 fanti.



Figure di galeotti.

Ma che a noi interessa è che, in quei confusi frangenti, non meno di 28 guerrieri bergamaschi (questo è il totale che abbiamo ricostruito) partirono per combattere i turchi.
Di questi, a Lepanto ne ritroveremo solo 20 perchè gli altri 8 morirono nei fatti d'arme immediatamente precedenti.

Vediamo di ricordare brevemente questi otto valorosi.

Boselli Pietro, di Domenico Obizzo: era un capitano di fanteria che già l'anno precedente (1570) era stato inviato a Nicosia, sull'isola di Cipro, assediata dai turchi. Gravemente ferito nell'autunno di quell'anno, dovette rientrare in patria. Ristabilitosi, nel 1571 riprese l'attività militare al comando di una compagnia di cavalieri. Inviato nuovamente a Cipro, vi morì in battaglia;
Calepio Carlo, di Bettino: colonnello della Repubblica di Venezia, venne inviato a Cipro, assegiata dai turchi. Catturato prigioniero con altri ufficiali, fu tradotto in prigionia, molto probabilmente a Costantinopoli, dove morì di stenti;
Calepio Galeazze di Orazio: cavaliere al servizio di Venezia, sotto la quale si era posto con un manipolo di sette soldati, da lui dipendenti. Nominato gentiluomo di una galea, morì in combattimento nel corso di una battaglia nel Canale della Morlacca in Dalmazia, tradizionale rifugio degli uscocchi (5), dove era stato inviato per contrastare azioni piratesche contro le navi da carico veneziane ad opera di turchi ma anche degli uscocchi medesimi;
Calvi Antonio: soprannominato "Panighetto", era un soldato di ventura postosi al servizio di Venezia e che già nel 1570 era stato inviato a Cipro nei reparti di difesa della cità assediata da Selim II. L'anno seguente, come Galeazze Calepio, morì in battaglia nel Canale della Morlacca;
Quarenghi Battista: la sua vicenda è simile a quella di Antonio Calvi; anch'egli fu tra le milizie poste alla difesa di Cipro nel 1570 e morì alla Morlacca l'anno seguente;
Solza Ezechiele: ufficiale e cavaliere, fu arruolato da Venezia nel 1570 per combattere contro i turchi. Nel corso di una battaglia nel Canale della Morlacca fu gravemente ferito da un colpo di archibugio. Nella confusione dello scontro nessuno si prese cura di lui e morì dissanguato;
Solza Federico: fratello di Ezechiele, condivise con lui tutte le operazioni di guerra contro i turchi. Durante la medesima battaglia della Morlacca uccise un comandante mussulmano ma fu subito assalito da molti soldati turchi che lo trucidarono;
Vertova Angelo di Cabrino: cavaliere gerosolimitano (6), combattè per la difesa dell'isola di Rodi, assediata dalle truppe di Maometto II. Morì nel 1570 durante la difesa dell'isola;

Torniamo ora al nostro racconto, riallacciandoci, alla questione dell'assegnazione del nome "Sant'Alessandro" alla galea bergamasca.
Venezia non solo accettò di buon grado il nome proposto ma si dimostrò fin da subito disposta ad affidare l'incarico di sopracomito (7) ad un gentiluomo bergamasco.
Il Maggior Consiglio del Comune di Bergamo diede quindi incarico a tre cavalieri anziani, i conti David Brembati, Giangirolamo Grumelli e Bonifazio Agliardi, affinchè trovassero un gentiluomo bergamasco pronto a prendere il comando della galea.
Su suggerimento del Grumelli, fu interpellato un suo cugino, il cavalier Giovan Antonio Colleoni di Martinengo, il quale così rispose accogliendo entusiasta l'invito:

  Al Molto Magnifico et Ill. Sig. Cav. Hieronimo Grumello
cugino et fratello honorando. Bergamo
Ill.mo Sig. Cugino
la mia disposizione d'andar su l'armata per sopracomito è firma et stabile, perhò quella prometto per me ch'io non mancharò in conto alcuno, che desidero servir al mio principe et far onor alla patria.
Mia madre è morta. Dio gli doni requie. Quella mi conservi nella sua buona gratia.
Da Martinengo alli 11 februaro 1571

di V.S. Cugino e Fratello
Giovan Antonio de Colleoni Cavagliere

Il Colleoni presentò poi formale richiesta al Maggior Consiglio della Città, che fu ben lieto di assegnargli l'incarico (per la cronaca venne eletto con 71 voti favorevoli e solo 3 contrari), accordandogli anche un prestito di 500 scudi da lui richiesti per "trovarsi pronto anche subito a partire".



Stendardo della Lega Santa, che sventolò anche sulla galea "Sant'Alessandro" di Giovan Antonio Colleoni.

Intanto a Venezia si mugugnava perchè la città non voleva che il comando militare fosse assunto dagli spagnoli e Filippo, da uomo scaltro quale era, propose ed ottenne l'affidamento a don Giovanni d'Austria che aveva da poco riportato una vittoria schiacciante sui moriscos spagnoli.



I moriscos, sconfitti, vengono cacciati dal porto di Valencia.

Ben presto, comunque, il ventiseienne don Giovanni si guadagnò il rispetto e la fedeltà di tutte le forze della Lega, e gli interessi dei vari, singoli Stati furono relegati in secondo piano.

Si fissò il punto di riunione della flotta al porto di Messina, dove don Giovanni assunse formalmente il comando di più di 300 navi: oltre la metà erano spagnole, 18 erano state offerte dal papa e le rimanenti fornite dai veneziani.
Di fatto si contavano:
- 208 galee, che navigavano a vela ed a remi, trasportando soprattutto soldati;
- 100 (ma pare fossero di più) fra galeoni (8), fregate (9) e brigantini (10), che navigavano a vela ed avevano a bordo più cannoni che soldati;
- 6 galeazze (11), che erano una sorta di ibrido dei due precedenti.

Per contro, la flotta turca era composta da:
- 216 galee;
- 56 galeotte (12).

(questi numeri, come quelli che si leggeranno più avanti, vanno presi con le pinze: autori diversi hanno fornito numeri differenti, ma il nostro scopo è solo di dare al lettore un'idea delle forze in gioco).

Tipologia delle navi utilizzate a Lepanto

Flotta veneziana:

    

    

da sinistra in alto a destra in basso: galea, galeone, brigantino e galeazza.

Flotta turca:

    

da sinistra: galea e galeotta.

In quel momento i turchi erano impegnati a Cipro, dove stavano assediando le città di Nicosia e Famagosta le quali, però capitolarono ben presto.





Mappe delle città di Nicosia e Famagosta, sull'isola di Cipro, fortificate dai veneziani e perse dai medesimi nel 1571, poco prima della battaglia di Lepanto.

Per alcune settimane i mussulmani si diedero a saccheggiare le isole greche per poi riunirsi nel golfo di Corinto, presso il villaggio di Lepanto.
La flotta europea era invece ormeggiata nelle vicinanze dell'isola di Corfù e, quando si seppe della sorte di Famagosta, don Giovanni diede ordine di salpare alla ricerca della flotta turca, che venne individuata grazie anche alle informazioni di alcuni mercanti.
Alla notizia dell'avvicinarsi delle navi cristiane, il comandante ammiraglio Muezzinzade Alì Pascià (che poi morirà durante la battaglia) diede ordine di spostare la flotta verso ovest, dove venne rinforzata da alcuni vascelli algerini al comando di Uluch Alì (13), in direzione del golfo di Patrasso.

All'alba del 7 ottobre le due squadre navali furono l'una in vista dell'altra.
Don Giovanni affidò il contingente del fianco sinistro ad Augusto (o Agostino) Barbarigo, ponendolo vicino ai bassi fondali di Capo Scrophia, assunse il comando del centro ed affidò il fianco destro all'ammiraglio genovese Gianandrea Doria.
Lasciò in retroguardia un gruppo di galee al comando di Alvaro de Bazan, marchese di Santa Cruz e pose in avanguardia 7 galee sotto gli ordini di Giovanni de Cardona.
Similmente si comportò Alì Pascià, che fece posizionare un gruppo di galee al comando di Mehmet Sulik (o Shorak) Pascià (che i veneziani chamarono Sirocco o Scirocco e che morì durante la battaglia) di fronte alla squadra di Barbarigo, assunse il comando del centro davanti a don Giovanni e mise una terza squadra al comando di Uluch Alì e di fronte a quella di Doria.

I personaggi chiave

    

Augusto Barbarigo, comandante dell'ala sinistra cristiana ed il suo antagonista Mehmet Sulik, che morirà durante il combattimento.

    

I due comandanti in capo, fronteggianti nel settore centrale: don Giovanni d'Austria e Muezzinzade Alì Pascià, che morirà decapitato nel corso della battaglia.

    

Gianandrea Doria, comandante dell'ala destra cristiana ed il suo diretto avversario Uluch Alì.

    

Giovanni de Cardona e Alvaro de Bazan, rispettivamente al comando dell'avanguardia e della retroguardia cristiana.



Le prime fasi della battaglia: a sinistra la flotta cristiana ed a destra quella turca. Si notano ancora i tre distinti contingenti di entrambi gli schieramenti.

Poco prima dell'inizio della battaglia don Giovanni salì su una piccola e veloce imbarcazione e percorse tutto lo schieramento, urlando parole di incoraggiamento e ricevendo le entusiastiche acclamazioni degli equipaggi.
Nel contempo Alì Pascià stava dicendo agli schiavi cristiani, posti ai remi delle galee, che la vittoria turca avrebbe per loro significato la libertà.
Pare che a dare il via alla battaglia sia stato un colpo isolato sparato dalla nave "Sultan" di Alì Pascià al quale rispose un analogo colpo isolato dalla "Real" di don Giovanni. Erano le 10:30.

Da quel momento si scatenò l'inferno.
Provate a immaginare quasi 500 navi con 168.000 uomini che si scontrano fra di loro in un piccolo braccio di mare nei pressi della costa.
Le varie fasi della battaglia, condotte dagli schieramenti che abbiamo ricordato, sono state ricordate in una gran quantità di pubblicazioni e non staremo qui ad illustrarle per non stancare i nostri lettori.

Ecco alcune rappresentazioni pittoriche della battaglia.

Ma qualcuno sicuramente si chiederà: "E i bergamaschi?"
Purtroppo non ci sono giunte notizie sulle gesta dei singoli combattenti che però, come ebbe a dire Venezia per bocca del suo Consiglio, si comportarono con grande valore.
Però c'è un'eccezione che riguarda Giovan Antonio Colleoni, sopracomito della "Sant'Alessandro".
La sua nave era la decima in posizione tra le 61 che costituivano il centro; vicinissima all'ammiraglia di don Giovanni, si trovava tra la "San Giovanni" di Pietro Baduaro e la "Fanò" di Giorgio d'Este.
Con impeto e grande coraggio il Colleoni attaccò due galee turche e, su di lui, è stato scritto:

"Il Colleoni, tutto armato e con una balestra in mano, di sopra le rembate (14) della nave menava colpi terribili, incitando alla pugna i suoi che con eroica costanza, incalzando il nemico, alla fine riuscirono a catturargli una di quelle galere con ricco bottino e con strage orrenda di tutti i turchi."

Alle ore 16:00 di quella domenica 7 ottobre 1571 il mito dell'invincibilità della flotta ottomana era definitivamente infranto.

Dopo le urla, le grida degli uomini caduti in mare che annaspavano per non annegare, dopo gli spari degli archibugi, i sibili delle frecce, le bordate dei cannoni, dopo i lamenti dei feriti ed i colpi secchi dei remi che si spezzavano negli urti, dopo il fuoco che divampava sulle navi ed il fumo oscuro che dominava l'intero teatro di battaglia ... improvvisamente calò il silenzio.
Su quel mare calmo in poco più di cinque ore erano affondate 124 navi e molte altre si erano ridotte a semplici relitti, ma erano soprattutto morti oltre 20.000 uomini, i corpi dei quali galleggiarono per ore prima di scomparire per sempre.
Tra di loro l'unico bergamasco di cui si abbia memoria della morte: Giuseppe Bagnati, colpito da una freccia durante le concitate fasi di un arrembaggio.

La notizia della vittoria giunse a Venezia il 18 ottobre ed a Bergamo il successivo giorno 24 a mezzo di lettera ducale.
Il Gran Consiglio della Città, "cum maxima laetitia", deliberò di celebrare il grande avvenimento con luminarie e processioni.
Una magnifica accoglienza venne poi riservata a Giovan Antonio Colleoni e, in città, si esposero gli stendardi, le bandiere ed i trofei della nave turca da lui catturata e che poi gli fu concesso di tenere nella sua casa di Martinengo.

Beh, ho dovuto ammettere che l'enfasi del mio insegnante di Storia, in merito a questa battaglia, era sicuramente più che giustificata.
Su Lepanto sono stati scritti fiumi di parole e innumerevoli poesie ma, prima di chiudere e passare al ricordo dei singoli 20 Bergamaschi che parteciparono a quello storico evento, mi sia permesso riportare un profondo e lucido commento dell'insigne letterato bergamasco Angelo Pinetti (Martinengo, 1872-1930):

"Un esame minuto di tutte le miscellanee, di tutti i fogli sparsi, di tutti i manoscritti che contengono tutto il ciclo poetico ispiratosi alla battaglia del 1571 (fu detto che i poeti della vittoria superarono certo il numero delle navi combattenti da ambo le parti) potrebbe forse far rintracciare qualche altro accenno intorno ai Bergamaschi a Lepanto, ma non sarebbe una scoperta di grande importanza; servirebbe solo a rappresentarci sempre meglio l'impressione generale che produsse a quel tempo in Italia il grande avvenimento.
Ma la vera, la grande poesia più che dai poeti fu scritta dai fatti; onde Giovan Antonio Colleoni e tutti gli altri incliti eroi di quelle gesta, se non dalla poesia, avranno immortalità dalla storia nella grandiosa semplicità del vero."

I nostri 20 bergamaschi a Lepanto

Ambiveri Ferrante: soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla successiva battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Bagnati Alessandro: soldato al servizio della Repubblica di Venezia, si imbarcò (col fratello Giuseppe) su una delle dodici galee che, al comando di Marco Antonio Quirini, nel febbraio 1570 andarono in soccorso alla città di Famagosta, assediata dai turchi. Partecipò alla battaglia della Gambella, nei pressi della città. Nel successivo mese di marzo ritornò a Candia, al servizio del Capitano generale dell'armata veneta, Sebastiano Veniero, con il quale affrontò i turchi a Zante, Castel Tornese e, soprattutto, nella battaglia di Lepanto nel golfo di Patrasso. Per tutta la vita rimase al servizio della Serenissima;
Bagnati Giuseppe: come il fratello Alessandro fu un soldato al servizio della Repubblica di Venezia e, nel febbraio 1570, si imbarcò su una delle dodici galee che, al comando di Marco Antonio Quirini, andarono in soccorso alla città di Famagosta, assediata dai turchi - partecipò alla battaglia della Gambella, nei pressi della città - nel successivo mese di marzo ritornò a Candia, al servizio del Capitano generale dell'armata veneta, Sebastiano Veniero, con il quale affrontò i turchi a Zante, Castel Tornese e, soprattutto, nella battaglia di Lepanto nel golfo di Patrasso, nel corso della quale morì colpito da una freccia;
Barile Giacomo: soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Berlendis Giacomo di Paolo: colonnello delle milizie della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Nel 1601 partecipò all'impresa contro i corsari turchi. Nel 1615 combattè contro gli Uscocchi nella guerra del Friuli, distinguendosi negli attacchi a Segna (Senj) e Trieste. Nominato soprintendente generale dell'artiglieria e delle fortezze nel Regno di Candia, morì poco tempo dopo;
Boselli Marco Antonio di Pietro: come il padre divenne capitano e combattè sull'isola di Cipro contro gli ottomani. Nel 1571 prese parte alla battaglia di Lepanto dove fu gentiluomo di poppa su di un galeone. Morì durante uno scontro navale l'11 ottobre 1585;
Brembati Giovanni Battista di Marco Coriolano e e Gambara Maddalena: condottiero al servizio di Carlo V e poi del figlio Filippo II re di Spagna. Nominato colonnello, nel 1555 ottenne 500 soldati dal duca d'Alba, governatore di Milano e, nel 1558, altrettanti soldati da Gonzalo Fernando di Cordoba, duca di Sessa. Combattè in Piemonte contro i francesi, distinguendosi nell'espugnazione di Centallo e Moncalvo e, soprattutto, nel soccorso alla città di Cuneo: famoso l'episodio secondo cui Giovanni Battista fece condurre a Crema un leone dorato di San Marco, trafugato dai francesi e trasportato ad Asti, leone che poi fu portato a Bergamo per interessamento del podestà Costantino Priuli ed incastonato nella torre del palazzo comunale. A fianco del duca di Sessa partecipò anche alla difesa dell'isola di Rodi ed alla successiva battaglia di Lepanto dell'ottobre 1571. Morì a Bergamo il 30 luglio 1573;
Canova Agostino: soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Canova Camillo: probabilmente fratello di Agostino - come lui fu soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia e prese parte alla guerra di Cipro del 1570 nonchè alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Canova Galeazze: soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Cassotti Francesco di Gian Maria e Nicolini Eufrosina: detto anche "Cassotti de' Mazzoleni", fu un soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia. Prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Colleoni Giovan Antonio di Giovan Pietro: comandante della galea veneziana "Sant'Alessandro" -vedasi testo-;
Corsini Francesco di Stefano: a soli 13 anni fu ammesso nell'Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani; offertosi soldato di ventura nelle schiere di Carlo V prese parte all'espugnazione della Goletta, presso Tunisi, occupata dal corsaro turco Barbarossa e si mise subito in mostra per aver strappato ai turchi il loro stendardo sostituendolo sulle mura con quello cristiano. Passato in Provenza, quando seppe che il principe Doria stava allestendo un'armata contro il Barbarossa partì per l'isola di Corfù mettendosi al servizio del Doria. A seguito dell'occupazione turca di Cipro si unì alle truppe venete, comandate da Astorre Baglioni Perugino (suo amico che aveva conosciuto quando era governatore delle armi a Bergamo) che lo assegnò alle milizie di Nicolò Donato per la difesa del porto di San Teodoro attaccato dalle navi di Alì Bassa. Più tardi, con il Baglioni, fu alla difesa di Famagosta dove si distinse a Limassol e negli attacchi alle Grotte dell'Oca. Nel 1571 partecipò alla battaglia di Lepanto. Rientrato a Bergamo passò al servizio dello Stato di Milano e in questa città cadde in un agguato tesogli da un cavaliere spagnolo suo nemico, che lo aggredì con sedici soldati armati di lancia; morì pochi giorni dopo tra le braccia dell'arcivescovo Carlo Borromeo che gli aveva impartito l'estrema unzione: era il 21 gennaio 1584. In seguito le sue spoglie vennero traslate a Bergamo nella Chiesa delle Grazie;
Corsini Giovanni Battista di Stefano: cavaliere dell'Ordine di Santo Stefano e fratello di Francesco (gerosolimitano) - fu nominato capitano di una galera nelle continue guerre contro i turchi, meritandosi l'onorificenza di Santa Croce. Nella guerra del 1571 fu nominato generale delle galere cristiane e combattè nella battaglia di Lepanto. Poco dopo essere stato nominato comandante della flotta del duca di Toscana, si ammalò e si ritirò dalla vita militare tornando a Bergamo, dove morì il 31 marzo 1595. Fu sepolto nella Chiesa delle Grazie accanto al fratello Francesco;
Martinengo Colleoni Francesco di Bartolomeo e Da Ponte Paola: nel 1565, appena diciassettenne, era già al servizio della Serenissima e, a fianco di Sebastiano Venier, si portò in soccorso di Malta assediata da Solimano e poi nella guerra d'Ungheria. Fu al servizio di Emanuele Filiberto di Savoia nel 1567 e, l'anno seguente, nominato colonnello di due compagnie di cavalleria ed inviato in Francia al servizio di Carlo IX, distinguendosi nella battaglia di Saint-Denis. In seguito, lo stesso Filiberto lo inviò al seguito delle truppe venete nella guerra santa contro il sultano turco Selim II, prendendo parte alle battaglie navali di Corfù (1570) e Lepanto (1571) dove era gentiluomo di poppa sulla galea dei Savoia; firmata la pace con i turchi ripartì per la Francia con 2000 fanti, mettendosi al servizio di Enrico III. Nominato Maestro di Campo di 500 cavalieri e 4000 fanti sotto Filippo d'Este, genero di Filiberto. Rientrato a Torino fu nominato Cavaliere dell'Ordine dell'Annunziata e general mastro di campo di tutta la Cavalleria. Nel 1588 espugnò i castelli di Centallo e Revello e, tra il 1591 e 1595 fu vittorioso contro i francesi a Barcellonette, Exilles, in Provenza ed a Bricherasio. Alla morte di Filiberto il figlio Carlo Emanuele gli conferì i gradi di Scudiere, Ciambellano e Governatore di Chivasso. Si distinse particolarmente nella guerra contro gli Svizzeri che avevano occupato i territori savoiardi di Bona e Tonone e, nel territorio di Ripaglia, sconfisse duramente gli avversari anche se questi erano molto superiori di numero; qui venne ferito per ben tre volte da colpi di moschetto ma non abbandonò la battaglia ed inseguì gli svizzeri fino allo stretto Passo della Chiusa, costringendoli poi alla resa presso Colonges. Protagonista dell'assedio e conquista della città di Carmagnola nel Marchesato di Saluzzo, che poi passò interamente ai Savoia. Inviato in Provenza contro Monsù dell'Aldighiera, generale dei luterani, che tentava l'occupazione di quei territori. Fu poi al servizio del duca di Espernone e rischiò la morte in battaglia ma fu tratto in salvo da uno dei suoi paggi; quando il duca dovette recarsi in Spagna, venne dallo stesso nominato Vice duca con il compito della reggenza. In seguito si ritirò nel castello di Cavernago. Nel 1592, quando assurse al pontificato Clemente VIII, fu inviato da Carlo Emanuele quale ambasciatore presso la Santa Sede. Nel 1598 tornò al servizio di Venezia e nel 1604 fu nominato governatore di Bergamo. Nel 1615, allo scoppio della guerra tra la Repubblica di Venezia e gli Uscocchi, il Senato veneto (nonostante l'età) lo nominò generale della Cavalleria Veneta Leggera e combattè in Friuli. Morì a Cavernago l'8 febbraio 1621;
Spini Orazio: soldato di ventura al servizio della Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571;
Suardi Francesco di Pietro Tonino: condottiere sotto la Repubblica di Venezia, prese parte alla guerra di Cipro del 1570 ed alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Nominato in seguito governatore delle armi a Crema, dove morì nel 1589;
Tasso (De' Tassis) Antonio di Simone: partito da Bergamo (dove la famiglia si era trasferita) con i fratelli Giovanni Battista e Maffeo, visse alla corte di Filippo I, arciduca d'Austria, passando poi al servizio dello Stato di Milano. Poco più che quindicenne, partecipò col fratello Ruggero alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Nel 1577 nominato capitano di una compagnia di fanti e inviato all'assalto dell'Isola delle Gerbe (ora Djerba in Tunisia); ferito, venne catturato dai turchi e trasportato nelle prigioni di Costantinopoli - liberato dopo il pagamento di un riscatto passò al servizio di Giovanni d'Austria e nel 1584 raggiunse Tunisi, attaccata dalle truppe dei generali ottomani Ucciali e Simon - colpito da cinque palle di moschetto e da un colpo di lancia, fu nuovamente fatto prigioniero e incarcerato a Costantinopoli - di nuovo pagato il riscatto, giunse a Genova dove seguì l'ammiraglio Marcello Doria in una spedizione a Napoli. Partito per le Fiandre con due compagnie di fanti, prese parte alla battaglia di Gemblours e fu in seguito posto al comando delle piazze di Levun, Diecht ed Arschot. Nominato da Filippo II Maestro Generale delle Poste in Roma, qui visse fino alla morte, avvenuta all'età di 87 anni;
Tasso (De' Tassis) Ruggero di Simone: soldato dell'esercito spagnolo, col fratello Antonio prese parte alla battaglia di Lepanto nel 1571;
Vitalba Giovanni Francesco: capitano al servizio dell'imperatore di Germania, passò poi alle dipendenze di Filippo II re di Spagna. Nel 1565 fece parte della spedizione, guidata dal vicerè di Sicilia Garcia Alvarez de Toledo Osorio e mandata in soccorso di Malta assediata dalle armate di Solimano. Nel 1571, sempre al servizio della Spagna, partecipò alla battaglia navale di Lepanto. Nel 1582, alle dipendenze di Alvaro di Bacciano, marchese di Santa Croce al servizio della Spagna, prese parte alla battaglia delle isole Terzere (Azzorre) contro la flotta francese capitanata da Filippo Strozzi (che morì in battaglia) e Monsù di Brisacco. Nel 1588 era al comando di una nave della flotta di Alfonso Perez di Guzman, duca di Medina Sidonia, che attaccò la flotta della regina Elisabetta d'Inghilterra nel Canale della Manica: Giovanni Francesco si distinse per il grande valore e coraggio, anche se le navi spagnole furono costrette a retrocedere per un'improvvisa burrasca. Ritiratosi dalla vita militare, rimase in Spagna fino alla morte, che lo colse il 9 novembre 1594.

 

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(1) Questa battaglia, in diversi testi e da differenti autori, viene a volte chiamata Battaglia delle Echinadi o delle Curzolari - Le Echinadi sono un piccolo arcipelago greco che fu teatro della battaglia - Curzolari fu il nome dato alle isole dai veneziani, nome che originariamente designava una penisola alla sinistra della foce del fiume Acheloo (Aspropotamo), presso Oxia, proprio di fronte alle Echinadi;

(2) I lanzichenecchi (dal tedesco Landsknecht = servo rurale) erano soldati mercenari di fanteria, arruolati da Legioni tedesche del Sacro Romano Impero Germanico, che combatterono tra la fine del XIV secolo ed il XVII secolo - divennero famosi per la loro crudeltà nei confronti dei popoli combattuti nonchè per la violenza che mostravano contro il nemico - il termine designava i militari di professione, reclutati dall’Imperatore soprattutto tra i figli cadetti delle famiglie di contadini piccoli proprietari, che preferivano dedicarsi all’attività militare pur di non diventare servi rurali al servizio dei fratelli primogeniti, che erano gli unici eredi dei beni paterni - il loro armamento consisteva in una spada e una lunga picca;

(3) Moriscos: nome con cui venivano chiamati dagli Spagnoli i musulmani rimasti in Spagna come sudditi dopo la fine delle guerre combattute contro gli Arabi dal 718 al 1492 - furono soggetti per lungo tempo a una sistematica persecuzione, nonostante fosse stata loro assicurata libertà di culto;

(4) Galèa (e anche galèra): nave mediterranea, generalmente militare, a remi e a vela, lunga una cinquantina di metri, veloce e leggera, con prua molto affinata e con due alberi a vele latine, tipica del periodo medievale e in uso fino agli inizî del XIX secolo;

(5) Gli uscocchi (dal serbocroato Uskok=fuggiasco), appartenevano ai gruppi che, dopo la conquista turca dei Balcani ultimata nel 1526, condussero una tenace guerriglia contro i dominatori, e quindi, annidati nel canale della Morlacca, esercitarono la pirateria in tutto l’Adriatico- Battuti per terra e per mare da Venezia e dall’Austria, furono deportati nel 1617 nell’interno della Croazia;

(6) Ordine gerosolimitano (di Gerusalemme): fu un ordine militare e religioso ispirato a san Giovanni di Gerusalemme, detto poi dei Cavalieri di Rodi e successivamente dei Cavalieri di Malta;

(7) Sopracomito (dal latino supra comes=che sta sopra il compagno) veniva chiamato il comandante della nave, mentre i Gentiluomini, o gentiluomini di poppa, in tutte le marinerie italiane erano i primi ufficiali dopo il capitano e talvolta ne facevano le veci. Il loro posto era sulla poppa della nave;

(8) galeone: grande veliero mediterraneo, militare e mercantile, con scafo a due ponti, cassero e castello molto elevati, dotato di quattro alberi; in uso dal XV al XVII secolo, specialmente per le navigazioni oceaniche (fu il prototipo da cui derivarono i vascelli);

(9) fregata: nave da guerra di media grandezza, più piccola del vascello, veloce e maneggevole, solitamente impiegata per azioni di crociera e di esplorazione;

(10) brigantino: tipo di veliero, di modeste dimensioni, attrezzato con tre alberi;

(11) galeazza: nave da guerra del XVI secolo, simile alla galea ma più grande, con tre alberi e scafo a ponte munito di castello e cassero;

(12) galeòtta: bastimento militare, sottile e veloce, più piccolo della galea, con un albero;

(13) Uluch Alì: era nato nel 1519 a Le Castella, in Calabria - si chiamava Giovanni Dionigi Galeni ed era figlio di Birno (originario di Motta Sant'Agata -RC-) e di Pippa de Cicco. Stava per entrare in convento e divenire monaco, quando fu catturato dal corsaro greco ottomano e bey (governatore) di Algeri Khayr al-Dīn Barbarossa - Fatto prigioniero e messo al remo, dopo alcuni anni rinnegò la religione cristiana per poter uccidere un marinaio napoletano che lo aveva schiaffeggiato e non essere di conseguenza ucciso in base alla legge islamica - Diventato musulmano, sposò la figlia di un altro calabrese rinnegato, Jaʿfar Pascià e iniziò la propria carriera di corsaro, con grande successo - Divenne dapprima comandante della flotta di Alessandria, poi pascià di Tripoli, ed infine bey di Algeri - Il suo nome turco diede origine all'italiano Occhialì o Luccialì, Uluccialì o Uccialì;

(14) rembata: su ogni galea era ciascuno dei due palchi che stavano a prua, formanti un solo castello.